Intervento in Consiglio Comunale su Arpad Weisz e la curva San Luca

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  • Roberta Li Calzi

Intervento in Consiglio Comunale su Arpad Weisz e la curva San Luca

Tanto si è detto in questi giorni in merito al grande allenatore del Bologna Arpad Weisz e alla Curva San Luca dello Stadio Dall’Ara. E proprio da un’idea di Angelo Rambaldi che ho letto sabato sul Corriere, ho deciso di intervenire su un tema che mi sta a cuore, ma sul quale ero rimasta in silenzio fino adesso, forse col timore di essere “di parte”, come tifosa del Bologna che spesso va allo stadio.

La proposta di Rambaldi per onorare la memoria di Arpad Weisz, allenatore ebreo morto ad Auschwitz insieme a tutta la sua famiglia, è quella di innalzare una stele, sulla sommità della gradinata sotto la torre di Maratona, dove era posizionata la statua di Benito Mussolini a cavallo, eretta nel periodo della dittatura fascista e poi divelta al crollo del regime, il cui materiale fu utilizzato per delle statue di partigiani che celebravano la Resistenza. Un modo per ricordarlo nel luogo dove c’era la statua di colui che, con le leggi razziali del 1938, fu il mandante morale della morte di Arpad Weisz e dello sterminio di gran parte degli ebrei italiani. Perché anche i luoghi servono a ricordare la storia.

Ad onor del vero, nessuno decise di intitolare ufficialmente alla Madonna di San Luca la curva sud dello stadio, in segno di devozione e di omaggio popolare dello sport alla Madonna che dall'alto protegge la città, così come nessuno ha mai parimenti intitolato la curva opposta ad Andrea Costa, in segno di omaggio popolare dello sport a un grande leader del socialismo italiano. Fu la geografia a far pensare quei nomi: la curva, oggi intitolata al grande Giacomo Bulgarelli, dà su via Andrea Costa e la curva San Luca guarda verso la basilica di San Luca. Nel tempo, questi nomi  sono entrati nel comune sentire dei bolognesi, divenendo la mappa ideologica dei nostri sentimenti, della nostra storia, delle nostre opinioni.

Fatte le dovute premesse storiche, geografiche e toponomastiche, dirò adesso come la penso nel merito della questione.

Le posizioni di Monsignor Vecchi, al grido di “non si tocchi la Madonna di San Luca”, denotano un’ingerenza su temi che dovrebbero essere laici, come lo sport e il tifo. Di tenore ben diverso le dichiarazioni dell’arcivescovo Zuppi, che con toni pacati, più consoni ad una Chiesa misericordiosa, che non attacca ma semmai difende, dice “il tormento di Weisz va ricordato.”

E magari è davvero il caso di smorzare le polemiche che vanno avanti da troppo tempo e che non fanno bene a Bologna e al Bologna, che voglio sperare non fosse frastornato dalle stesse quando sabato sera, ahimè, insaccava uno dopo l’altro ben sette goal dal Napoli.

E per farlo potremmo intitolare all’allenatore ebreo ungherese, che diede un taglio scientifico alla preparazione atletica e agli schemi di gioco, qualcosa di nuovo nel nostro Stadio, che sia un settore che ad oggi non ha un nome o una nuova costruzione. E ciò non sia visto come un ripiego o una marcia indietro, bensì come un’aggiunta e non una sottrazione. 

Il mio sentire propende per la proposta del Sindaco di connubio di entrambi i nomi per la curva. Perché Bologna è la città che unisce, non divide. E perché la raccolta delle firme per l'intitolazione della curva a Weisz era stata portata avanti due anni fa anche nel corso di un bellissimo evento, "Diritti in campo", al quale hanno preso parte per giocare a calcio ragazze e ragazzi delle parrocchie, del Cassero, delle squadre di della città, dei Bugs e tanti altri. Tutti insieme, c'ero anche io, in un connubio per dire no alle discriminazioni. 

Ma, se è pur vero che San Luca e Arpad Weisz possono convivere nella stessa curva, è anche vero che non sempre l’intitolazione di un luogo coincide con il comune sentire della maggioranza dei cittadini e dei tifosi.

Infatti, come scrive Gianni Mura su Repubblica, a Milano lo stadio è stato intitolato a Giuseppe Meazza, ma “Stadio Meazza” lo dicono solo radio e telecronisti, il resto del mondo lo chiama ancora “San Siro”, perché il nuovo nome non ha scalzato il vecchio.

E allora mi chiedo, leggendo Enrico Franco sul Corriere, se la nostra curva non rischierebbe di correre lo stesso pericolo, quello di essere intitolata con le migliori intenzioni a Weisz, ma poi ciascuno continuerebbe a chiamarla come prima. Così come il montare delle polemiche sta facendo male al ricordo di un grande allenatore, rischieremmo quindi di fargli torto un'altra volta se, dopo averlo dimenticato per decenni, accettassimo che, nei fatti, l'intitolazione risultasse più simbolica che reale.

Aggiungo che sarebbe bello fare qualcosa di più per questo allenatore, vincitore di due scudetti alla guida del Bologna, nonché del Torneo dell'Esposizione universale: installiamo una pietra d’inciampo dedicata ad Arpad Weisz davanti alla sua casa in via Valeriani 39.

Sarebbe un bel modo per ricordare questa figura tanto importante per lo sport bolognese e per “costringere” i passanti a non dimenticare tutte le vittime innocenti del nazifascismo.

Le pietre d’inciampo sono pietre incorporate nel selciato stradale delle città, davanti alle abitazioni che sono state teatro di deportazioni. Recano una piastra in ottone che riporta il nome della persona, l'anno di nascita, la data, l'eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Un’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig che è stata adottata da molte città europee, ma non ancora da Bologna. Le persone si imbattono casualmente nelle pietre, che favoriscono la riflessione in chi le vede.

Porre una pietra d’inciampo servirebbe anche a ricordare la sua famiglia ed avrebbe un forte impatto emotivo. Come racconta il giornalista Matteo Marani nel suo bellissimo libro “Dallo scudetto ad Auschwitz”, Arpad Weisz viveva in quella casa con sua moglie Elena e due figli piccoli, Roberto e Clara. Tutti loro furono strappati da via Valeriani e dalle loro amicizie, per morire poco tempo dopo nel più famigerato tra i campi di sterminio nazisti.

Sono proposte, queste, che non intendono sommarsi alle polemiche, ma che provano, con umiltà, a trovare una strada, una via d’uscita, non di comodo, ma di buon senso.

Perché un ricordo che unisca e non divida è sempre possibile.


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