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Vedi che iniziano a girare la manovella e sai che arriverà, e
quando arriva il tuo corpo inizia a tremare, sai cos’è perché ci sei già
passato, ma non capisci più cosa succede, urli di dolore che ti scoppia la
gola, ti senti cadere, e poi ricomincia.”
Queste parole sono una delle poche testimonianze di un
sopravvissuto ai campi di concentramento aperti in Cecenia, dove ormai da mesi
vengono rinchiusi e torturati, anche fino alla morte, uomini omosessuali.
La manovella di cui si parla è quella che attiva una dinamo
che poi rilascia la scarica elettrica che attraversa il corpo del prigioniero.
La chiamano “telefonata a Putin” ed è quella che provoca un dolore tale da non
potere resistere. Ci sono anche, come avevano già raccontato altre
testimonianze, le botte con i tubi: “Ti mordi le mani fino a sanguinare ma ce
la puoi fare”. Ma all’elettricità non si resiste. E poi c’è la “sedia”, di cui
si hanno diverse testimonianze di presone che tra loro non si conoscono. Una
sedia, appunto, con fili elettrici collegati ai braccioli e altri che vengono
attaccati al corpo della vittima. La “sedia” e la “telefonata a Putin” sono i
metodi di tortura preferiti dai carcerieri.
Il ragazzo che ha rilasciato questa testimonianza è vivo solo
perché quando è stato liberato, dopo due settimane di torture, è stato
riconsegnato alla famiglia con la raccomandazione che fossero loro a completare
quanto già iniziato uccidendolo. Un omicidio che in Cecenia sarebbe accettato e
non perseguito dalla legge perché basato sul principio del delitto d’onore.
Ora vive in una casa sicura, protetti da protocolli speciali studiati daRussian LGBT Network, l’associazione che si sta occupando di proteggere le vittime e che ne sta curando l’evacuazione, per salvare le loro vite.
Sempre in Cecenia, un ragazzino di soli 17 anni aveva trovato
il coraggio di dichiarare la sua omosessualità alla famiglia e lo zio, in
risposta, lo ha buttato giù dal nono piano per la vergogna di avere un parente
gay. A quanto pare, questo è successo a seguito di alcuni avvertimenti che
sembrerebbero provenire dalla polizia cecena: “risolvete il problema con gli
omosessuali nelle vostre famiglie oppure dovremo intervenire noi.”
La Cecenia non è cosi lontana come si possa credere ed è
importante tenere alta l'attenzione.
Secondo l’annuale rapporto del 2016 di Ilga, la più
importante ONG europea che si occupa dei diritti umani di omosessuali e trans,
il nostro Paese è quello dell’Europa occidentale con le peggiori tutele e dove
maggiori sono le discriminazioni. Mentre gli altri Paesi facevano passi verso
una maggiore uguaglianza e la tutela dei diritti delle persone lgbti, l’Italia
andava indietro. Non solo, rispetto al 2015 abbiamo perso ben due posizioni
nella classifica generale, scivolando al 34esimo posto su 49, dopo Paesi quali
la Georgia, la Slovenia, la Romania. Peggio di noi solo le repubbliche ex
sovietiche e i microstati (come San Marino o Cipro).
In testa alla classifica ci sono Gran Bretagna, Belgio e, a sorpresa, Malta, grazie alla legislazione approvata a marzo che riconosce a ogni individuo il diritto alla libera autodeterminazione della propria identità di genere e vieta la chirurgia «riparativa» sui bambini intersex (quelli che un tempo con un termine scorretto si chiamavano ermafroditi). In coda Armenia, Russia, Azerbaijan.
La legge sulle unioni civili ci ha sicuramente fatto fare un passo avanti nell'ambito delle tutele, ma non basta.
Da anni è ferma in Parlamento la legge sull'omofobia. Il
testo, approvato dalla Camera il 19 settembre 2013 e trasmesso dopo 4 giorni a
Palazzo Madama, non è nel calendario dell'Aula e non procede da tempo, anche se
sono stati da molto presentati gli emendamenti.
Il provvedimento introduce nel nostro ordinamentoil reato di
discriminazione e istigazione all'odio e alla violenza omofobica. E nella legge
Mancino, l'aggravante di omofobia.
Ho deciso di iniziare questo mio intervento con parole forti,
che solo a sentirle fanno venire la pelle d'oca.
Perchè non si può tacere di fronte a simili avvenimenti,
perchè non si vorrebbe sentire pronunciare nuovamente la parola “campi di
concentramento”, che evoca un periodo della storia che mai vorremmo si
ripetesse. E per farlo bisogna impegnarsi ogni giorno per ricordare ciò che è
stato e agire in modo da creare le condizioni affinchè non si ripeta.
Ed è per questo che è importante valorizzare le buone
pratiche messe in atto sul territorio, in una città come la nostra, da sempre
attenta a questi temi. Il fatto che tutto questo avvenga in Cecenia, non ci
deve indurre a pensare “non è qualcosa che mi riguarda, da noi è diverso”.
No. Penso che chi occupa un posto nelle istituzioni e nella vita pubblica di una città come Bologna abbia il dovere morale e il compito sociale di non lasciare indietro nessuno. E si lascia indietro anche quando si è indifferenti, quando si tace. Continuiamo sulla strada dell'educazione al rispetto di ogni persona, di ogni affetto, di ogni amore e di lotta a tutte le forme di discriminazione.
Perchè ogni volta che si storce il naso pensando “di questo
ci occupiamo già abbastanza”, è bene sapere che mai è abbastanza. Bologna ha il
compito di crescere giovani e formare persone accoglienti, per farne cittadine
e cittadini di una città inclusiva e solidale.
Nei giorni scorsi sono già iniziati in città le iniziative in
vista di mercoledì 17 maggio, quando si celebra la Giornata internazionale
contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, una ricorrenza
promossa dall'Unione europea che si celebra dal 2007.
Quel giorno, e non solo quel giorno, dovremmo impegnarci a
far diventare il nostro paese un luogo più civile, per tutte e tutti, partendo
dalla grande forza di Bologna, che non deve mai fermare la propria spinta.
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